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FARMACI CHE NON FUNZIONANO: UN MODERNO SCANDALO MEDICO.

I medici che prescrivono i farmaci non sanno di non fare quello che dovrebbero fare; lo stesso vale per i pazienti. Le case farmaceutiche, invece, sanno bene quello che fanno, ma non lo dicono. I farmaci sono testati da chi li produce nel corso di prove poco significative, eseguite su un esiguo numero di ‘strani’ pazienti poco rappresentativi, e analizzati con tecniche mal progettate, al punto che finiscono con l’esagerarne i benefici. E’ chiaro che queste prove finiscono con il favorire i produttori. Quando poi i test mostrano risultati sgraditi alle aziende farmaceutiche, queste hanno tutto il diritto di nasconderli ai medici ed ai pazienti: abbiamo quindi un’immagine distorta degli effetti dei farmaci. 
Gli organismi di controllo hanno accesso a gran parte dei dati dei test effettuati (anche se non a tutti), eppure queste informazioni non vengono rese pubbliche a medici e pazienti, o ad altri enti pubblici governativi. Il risultato: prove distorte comunicate ed applicate in modo distorto. 
Nel 2010, alcuni ricercatori di Harvard e Toronto trovarono tutti i test relativi a cinque importanti classi di farmaci: antidepressivi, per l’ulcera, ecc. – e presero in considerazione due dati fondamentali: erano positivi? Erano finanziati dalle industrie? 
In totale esaminarono 500 test: l’85% delle prove finanziate dalle industrie risultavano positive, contro solo il 50% nel caso di test finanziati dal governo. Nel 2007, i ricercatori esaminarono tutti i test relativi a una statina. Questo tipo di farmaco, destinato ad abbassare il colesterolo, riduce il rischio di attacchi cardiaci e viene normalmente prescritto in grandi quantità. 
Questo studio esaminò 192 test, sia attraverso il confronto tra diverse statine, sia confrontando una statina con un altro tipo di cura. Si scoprì che le prove finanziate dalle industrie avevano venti volte la probabilità di dare esiti positivi rispetto a test diversamente finanziati. 
Com’è possibile questo? Come mai i test sponsorizzati dalle case farmaceutiche quasi sempre conducono a risultato positivi? A volte i test contengono in sé difetti di progettazione. O puoi confrontare il nuovo farmaco con un vecchio farmaco di cui già si conosce l’inefficacia – un farmaco già esistente somministrato a dosi inadeguate, forse, o un placebo che non fa assolutamente niente. Si possono poi scegliere i pazienti molto attentamente, puntando su quelli che già si sa che guariranno prima. Si può dare un’occhiata ai risultati a metà delle prove e fermare il test non appena si notino risultati positivi, senza completare tutto l’iter. Tutti questi trucchi e sotterfugi metodologici non sono che un insulto all’integrità delle informazioni. A volte le case farmaceutiche effettuano un gran numero di test, ma poi, quando si accorgono che i risultati non sono soddisfacenti, si guardano bene dal pubblicarli. 
Dopo questo episodio, il MHRA e l’Unione Europea hanno modificato parte della legislazione in vigore, anche se non in modo adeguato. Hanno introdotto l’obbligo per le società di presentare i dati di sicurezza nell’utilizzo dei farmaci al di fuori delle loro autorizzazioni di commercializzazione; ma, cosa alquanto ridicola, i test effettuati al di fuori dell’Unione Europea, erano esenti da tale obbligo. Alcuni dei test condotti da GSK furono pubblicati parzialmente, ma questo, comunque, non basta: se vediamo solo un campione parziale di dati, sappiamo già che saremo sviati nelle nostre conclusioni. Abbiamo bisogno di tutti i dati per la semplice ragione che abbiamo bisogno di un gran numero di dati: le avvertenze spesso sono blande, sottili e difficili da interpretare. Nel caso della paroxitina, i pericoli nel suo utilizzo divennero chiari solo dopo che tutti i risultati di tutti i test condotti furono analizzati e confrontati. 
Questo ci conduce al secondo ovvio difetto dell’attuale sistema: i risultati di questi test sono presentati segretamente ai regolatori, che si siedono e prendono una decisione con calma. Questo è l’opposto della scienza, che è affidabile solo perché tutti mostrano i risultati del loro lavoro, spiegano perché sono convinti che una cosa sia efficace e sicura, condividono i loro metodi e risultati e permettono ad altri di decidere se siano o meno d’accordo sul modo in cui i dati sono stati elaborati ed analizzati. E invece oggi permettiamo che la decisione sulla sicurezza e l’efficacia dei farmaci venga presa a porte chiuse, perché le società farmaceutiche hanno deciso di rivelare in modo discreto i risultati dei loro test solo ai regolatori. In questo modo, il lavoro più importante della medicina fondata su prove certe, viene svolto in modo occulto. E i regolatori, inoltre, non sono infallibili, e questo lo vedremo tra poco. 
Le informazioni mancanti avvelenano “l’acqua di tutti”. Se non si eseguono tutte le prove necessarie, se si occultano i test che hanno dato esiti negativi, non saremo mai a conoscenza dei veri effetti delle medicine che prendiamo. Le prove, in campo medico, non sono semplicemente un astratto prurito accademico. Quando ci vengono date delle informazioni sbagliate, prendiamo le decisioni sbagliate, causando danni e sofferenze non necessarie, e anche la morte, a gente come noi. 
Questa è una situazione talmente vergognosa e nascosta che anche il tentativo di documentarla pubblicamente diventa un’impresa quasi impossibile. Nel 2006 fu pubblicato un documento nel Journal of the American Medical Association (JAMA), uno dei più importanti giornali medici del mondo, che spiegava quanto era normale per i ricercatori che eseguivano i test finanziati dalle industrie rispettare il divieto di pubblicarne i risultati. Lo studio era stato condotto dal Nordic Cochrane Centre e presentava tutti i test che erano stati approvati a Copenhagen e a Frederiksberg. (Se ci domandiamo il perché della scelta di queste due città, si tratta di una ragione puramente pratica: i ricercatori chiesero il permesso in altri luoghi ma nel Regno Unito, in particolare, gli fu negato). 
Questi test erano palesemente sponsorizzati dall’industria farmaceutica (98%) e le regole che disciplinavano la gestione dei risultati raccontavano di una vicenda oramai familiare a metà strada tra l’assurdo e lo spaventoso. 
Per 16 dei 44 test, l’industria sponsor potevano accedere ai risultati a mano a mano che si accumulavano, ed in altri 16 test l’industria in questione aveva il diritto di interrompere le prove in qualsiasi momento, per qualsiasi ragione. Questo significa che una compagnia farmaceutica può accorgersi subito se un test si sta rivelando contrario e può interferire liberamente durante l’iter, distorcendone i risultati. Anche se lo studio veniva completato, se ne potevano liberamente occultare i risultati: erano applicati divieti di pubblicazione dei risultati in 40 test su 44, e in metà di questi 40 i contratti indicavano chiaramente che lo sponsor possedeva i diritti sui dati risultanti (e i pazienti allora? Verrebbe da chiedersi) e poteva dare o meno l’approvazione per la loro definitiva pubblicazione, o entrambe le due cose insieme. Queste restrizioni non erano per niente indicate nei documenti pubblicati. 
Quando fu resa nota questa situazione nel JAMA, la LIF, l’associazione farmaceutica danese, rispose annunciando, nel Giornale dell’Associazione Medica Danese, di sentirsi “colpita e sdegnata per le critiche mosse”, che respingeva in modo assoluto. Fu chiesta un’indagine tra i ricercatori, senza però indicare da parte di chi e per che cosa. La LIF poi scrisse alla Commissione Danese sulle Scorrettezze Scientifiche, accusando i ricercatori del Cochrane di cattiva condotta scientifica. Non possiamo leggere questa lettera, ma i ricercatori ci dicono che le accuse erano molto forti – venivano accusati di aver distorto deliberatamente i dati – ma in modo vago, e senza documenti che sostanziassero tali affermazioni. 
Commento: un grave problema, questo, molto frustrante per me come pediatra. 
Ho rifiutato per anni di ricevere i rappresentanti di farmaci e di dare campioncini ai pazienti, non vado ai pranzi o ricevimenti del settore, non accetto e non uso le loro penne omaggio, poiché non voglio in nessun modo essere influenzato ed inconsciamente prendere per buone informazioni sbagliate, tranne che in quei rari casi in cui io abbia la possibilità di leggere informazioni corrette e veritiere. 
Tendo a fidarmi solo di quegli studi che parlano di vecchi e provati farmaci generici (che usiamo spesso per i bambini) o quegli studi che mostrano che il farmaco in alcuni casi non funziona, anche se, statisticamente, è più difficile dimostrare un effetto che utilizzi un’ipotesi nulla… 
Non condivido le linee guida della mia professione, che non solo poggiano sulle stesse informazioni errate ma troppo spesso sono influenzate dall’industria. Secondo le direttive dell’AAP, io dovrei controllare il livello del colesterolo in tutti i miei pazienti tra i 9 e gli 11 anni, e in quelli di altre fasce di età ancora più giovani in caso di fattori di rischio – e se tale livello resta alto e le diete e l’esercizio fisico non aiutano a ridurlo, dovrei prescrivergli delle statine. E non importa che non esistano dei dati pubblicati (pure se falsi) che mi dicano che questa sia una buona idea! Io glielo controllo il colesterolo? No, ma mi sento obbligato a dirgli che l’AAP dice che dovrei, e che io non sono d’accordo, e che io non ho bisogno di un esame del sangue per dirgli semplicemente che una dieta a base di cibi-spazzatura e uno stile di vita sedentario siano comportamenti negativi, a prescindere dal livello di colesterolo. Se questo è alto e i genitori del bambino insistono per avere delle statine, gli dico di trovarsi qualcun altro che gliele prescriva, perché io non lo farò. Lascio decidere ai genitori. Finora, nessuno di questi genitori, da semplici diplomati a superlaureati, mi ha mai mandato a quel paese. 
A volte le società europee si dimostrano attente almeno nelle loro direttive – un po’ più attente nel come interpretano le prove in loro possesso. Io, per parte mia, cerco di usare meno medicine possibile, anche se alla fine di ogni giorno mi accorgo di aver prescritto qualche medicina a qualche mio paziente. E’ difficile contrastare gli “intrugli” omeopatici quando non posso dire ai miei pazienti che sono sicuro che la mia “vera” medicina faccia esattamente quello che dovrebbe fare…e che forse gli “intrugli” omeopatici sono più sicuri. 
Ben Goldacre è un medico pediatra e autore della colonna “Cattiva Scienza” nel Guardian, dedicata all’analisi delle sparate giornalistiche di argomento medico, dei prodotti di bellezza “miracolosi”, dei cosmetici pseudoscientifici e dei grandi gruppi farmaceutici multinazionali; spesso affronta anche temi come la medicalizzazione della vita moderna e della psicologia delle credenze irrazionali.
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