"Non luogo a procedere' per la virologa padovana. Ma l'inchiesta dei Nas mette in risalto gli affari e i conflitti di interessi celati dietro emergenze sanitarie. E racconta con dati di fatto quanto l’aviaria abbia arricchito Big Pharma"
DI LIRIO ABBATE
Il giudice per l’udienza preliminare di Verona, Laura Donati, ha ordinato il «non luogo a procedere» per la virologa e deputata di Scelta Civica, Ilaria Capua, e altre dodici imputati accusati a vario titolo di traffico illecito di virus dell’influenza aviaria. L'inchiesta, avviata dai carabinieri del Nas e coordinata dalla procura di Roma, è stata poi trasferita a Venezia.
Per i pm della Capitale la virologa doveva rispondere di aver promosso e organizzato con altre persone un'associazione che aveva la finalità di commettere «una pluralità indeterminata di delitti di ricettazione, somministrazione di medicinali in modo pericoloso per la salute pubblica, corruzione, zoonosi ed epidemia», ed ancora «per aver utilizzato virus altamente patogeni dell'influenza aviaria, del tipo H9 ed H7N3, di provenienza illecita, al fine di produrre in forma clandestina, senza la prescritta autorizzazione ministeriale, specialità medicinali ad uso veterinario (quale è il vaccino dell'influenza aviaria), procedendo successivamente, sempre in forma illecita, alla loro commercializzazione e somministrazione agli animali avicoli di allevamenti intensivi».
In questo modo gli imputati avrebbero «determinando la diffusione non più controllata del virus dell'influenza aviaria negli allevamenti avicoli del nord Italia, con grave pericolo per l'incolumità e la salute pubblica, che determinava, da un lato, il contagio di sette persone tra gli operatori del settore come accertato dall'Istituto Superiore di Sanità attraverso un'indagine epidemiologica, e dall'altro il grave pericolo per la salute derivante dal consumo della carne oggetto della vaccinazione indiscriminata, determinando, quale misura di prevenzione, l'abbattimento di milioni di capi di polli e tacchini, con un considerevole danno al patrimonio avicolo nazionale, calcolato dal Centro regionale epidemiologia veterinaria in 40 milioni di euro». Per il giudice non ci sono i presupposti per il processo chiesto dai pm. Ilaria Capua che tra il 2005 e il 2007 era responsabile del Centro di referenza nazionale per l’influenza aviaria di Padova, ha lasciato la Camera per un incarico in Florida, insieme al marito Richard John Currie, anche lui imputato.
Nell'inchiesta pubblicata da l'Espresso , veniva fuori il business che avrebbero fatto alcuni medici su virus e vaccini. A raccontarlo sono le intercettazioni di cui è protagonista la stessa Ilaria Capua.
«Quando uno mi sta sul cazzo deve crepare!», diceva la virologa parlando di una ditta farmaceutica che criticava la sua invenzione, il “Diva”, la prima strategia di vaccinazione contro l’influenza aviaria. L’inchiesta dei pm di Roma in cui la veterinaria era coinvolta insieme al marito, partiva da un'informativa che tirava in ballo altre 36 persone, mettendo in risalto affari e conflitti di interessi celati dietro emergenze sanitarie, raccontando con dati di fatto quanto l’aviaria abbia arricchito Big Pharma.
Le conversazioni registrate dai Nas dei carabinieri svelano, fra i tantissimi episodi, gli interventi di Capua sulla Intervet, filiale italiana di un colosso dei farmaci veterinari. I vertici di Intervet si erano mostrati critici sull’efficacia del sistema Diva. Ma la signora dei virus gli avrebbe fatto sapere che nell’Istituto zooprofilattico di Padova era in corso un esperimento su un vaccino prodotto da Intervet: il marchio però sarebbe stato menzionato nel suo studio solo se i responsabili della casa farmaceutica avessero assecondato le sue richieste, tra le quali quella di rivalutare il test Diva. E parlarne bene. E ai manager avrebbe fatto arrivare un messaggio chiaro attraverso un intermediario: «Lei (Capua ndr) non è una persona che si compra con quattro lire».
Il ruolo principale nell'inchiesta lo rivestiva Paolo Candoli, manager della multinazionale Mirial, l’uomo al quale venivano aperte le porte del ministero della Sanità per ottenere autorizzazioni. È lui il manager delegato dalla sua ditta a parlare con Ilaria Capua. In particolare quando la Merial è alla ricerca di ceppi virali con i quali avviare la produzione di vaccini, prima ancora di ricevere l’autorizzazione del ministero. Uno dei colleghi della virologa, Stefano Marangon, anche lui coinvolto nell'inchiesta, avvisa Candoli due mesi prima del varo del programma di vaccinazione. Un modo per avvantaggiarlo sulla concorrenza. «Ho parlato con la Capua, non è escluso che lei ce l’abbia, cioè sai cosa fa quella lì comunque?», dice Candoli a una collega parlando di un ceppo virale. «Sicuramente se lo fa mandare lei e poi ce lo rivende a noi». Poi aggiunge: «Purtroppo con la Capua... c’è da pensare di seguire... di dar da mangiare alla scimmia».
Il manager della Merial si rivolge alla virologa anche su indicazione di Marangon, perché lei è la responsabile del Centro di referenza nazionale per l’influenza aviaria e quindi è nella possibilità di sapere con certezza con quale ceppo virale si preparerà il nuovo vaccino. Nello stesso tempo è una delle poche persone che in ambito internazionale ha la possibilità di farsi inviare, in breve tempo, un ceppo virale da altri istituti «senza la prescritta autorizzazione ministeriale».
Ilaria Capua parla con un manager della Intervet e afferma che «le è venuto in mente un modo per far salvare la faccia a quelli della Intervet, in modo tale da prenderli “per le palle”». A tal proposito dice al manager di riferire ai propri capi «che a breve a Cambridge verrà presentato uno studio dove lei ha generato un H7-N5 e che l’H-N5 è la neuroamminidasi più rara in assoluto, quindi quelli della Intervet potrebbero salvarsi la faccia dicendo che sono interessati al virus per fare il vaccino, in modo tale poi da poter iniziare nuovamente a trattare sul test Diva, per il quale loro (Capua, Marangon, Cattoli) stanno per chiudere con la Merial e la Fort Dodge, nonché con il governo olandese». Poi prosegue dicendo che «in virtù di ciò lei inserirà il nome del vaccino della Intervet sullo studio delle anatre». Per gli investigatori Capua avrebbe utilizzato «lo studio da lei effettuato per indurre la ditta Intervet ad ammorbidire la propria posizione critica nei confronti del test Diva e che, in caso positivo, quale controparte, pubblicherà sul proprio studio il nome del vaccino della ditta Intervet».
Quando i Nas arrivano nell’istituto per sequestrare un vaccino che non avrebbe avuto le carte in regola per entrare in commercio, e viene coinvolta la Capua, lei inizia a preoccuparsi dell’indagine. Il padre, stimato avvocato di Roma, le raccomanda espressamente di non fare riferimento alcuno al contratto stipulato con la Merial per lo sfruttamento del brevetto Diva. Ilaria Capua sostiene che «la vicenda dell’influenza aviaria è una storia molto complicata e anche se sono stata intercettata, le carte dimostreranno che è stato fatto tutto alla luce del sole».
Da una delle registrazioni emerge uno spaccato degli interessi in ballo. Parla alla madre della proposta di lavoro ricevuta da una fondazione della Florida, all'epoca e pure oggi, e osserva che «sarebbe un problema perché la fondazione non ha finalità commerciali» mentre, al contrario, in quel periodo lei ha una parte attiva e ha «una buona attività commerciale per la vendita dei reagenti diagnostici che le consentono di guadagnare in un anno ben 700 mila euro».
Per gli investigatori questa affermazione farebbe riferimento ai ricavi che Capua, insieme a Marangon e Giovanni Cattoli, stavano ottenendo dalla vendita del test Diva, per il quale è stato stipulato un contratto con le ditte Merial, Fort Dodge, e Paesi stranieri. Fonte: espresso.repubblica.it